IL FILO

Pubblicato il da Luca Lapi

DOMANDE SULLA FEDE, DOPO LA MESSA DI PASQUA

Cristiani solo per abitudine?

Caro Giampiero,

in una lettera a Luca Lapi che hai pubblicato sul Filo ti chiedevi il perché del calo di fede a cui assistiamo; bella domanda. A me ne sono venute altre che ti giro.

Primo flash: fino a dove la fede è forte e viva e quando invece è consuetudine? Siamo cattolici per nascita, per vocazione o per fatto "culturale" che assorbiamo durante la crescita e da cui non ci separiamo ma che in realtà non viviamo (così come siamo toscani)? Quante persone frequentiamo che si dichiarano cattolici e che magari sono anni che non vedono un sacerdote? Che magari dicono di credere in Dio e non nei preti? E il campionario potrebbe continuare chissà per quanto.

Poi la aborrita secolarizzazione ha fatto il resto, usi e consuetudini progressivamente sconvolti da una sempre diversa organizzazione sociale e modelli di consumi che mutano purtroppo anche la testa delle persone. Per cui si torna "all'ovile" solo per le feste comandate, le ricorrenze straordinarie, le disgrazie, ah, dimenticavo anche per gli esami, soprattutto di maturità, con un tripudio di candele agli altari della Madonna (curioso questo fatto, scusa la divagazione, è come se ci riguardassimo a chiedere direttamente al Principale per cui ricorriamo alla raccomandazione di Maria che notoriamente gode di solide relazioni in alto).

Secondo: a Pasqua si sa la gente va a Messa massicciamente, è uno di quegli appuntamenti che sono difficili ad ignorare ed anche i renitenti si recano in chiesa. Come per i matrimoni, per Natale, ai funerali il prete si trova davanti facce nuove e la tentazione di fare un pistolotto supplementare è forte, e la "predica" spesso è proprio tale, con qualche garbato rimprovero a chi "non viene mai" in chiesa. Gli effetti e i risultati non sono però entusiasmanti. In questi casi forse sarebbe meglio non sottilizzare, se le pecorelle sono venute non devono essere sgridate, magari bisognerebbe aiutarle a sentirsi in famiglia.

Terzo: la solennità è così forte che il prete e il coro cercano di esaltare i riti per conferire il massimo di raccoglimento e di devozione, con il risultato che con un "pubblico" più esterno e meno partecipe i riti e i canti cadono nel silenzio. Canti che, consentimi l'insolenza, hanno invaso tutto quanto era possibile cantare comprendendo - anche se non sempre - addirittura il Padre Nostro, una delle poche preghiere che la gente sa e potrebbe recitare. Mi viene in mente nel guardare le tante file di persone ordinatamente allineate nelle panche che "assistono" alla celebrazione, in un mutismo assoluto, come fossero a uno spettacolo (lo so da solo che esagero), senza partecipazione - anche a proposito della partecipazione nella chiesa cattolica e nelle parrocchie sarebbe interessante dilungarsi ma è un altro discorso - e verso cui forse occorrerebbe pensare in modo specifico e originale.

Anche quest'anno, al solito, gente nuova, facce mai viste, poco rispettose dei riti, seduti qusi sempre, rispondere nemmeno a parlarne. Silenzio dei fedeli pressoché totale, qualche affezionato qua e là accompagna timidamente le voci del coro, sommessamente, senza disturbare insomma.

Chi capita in chiesa in questi frangenti che sensazione riporterà? Forse di estraneità? Voglio provocare, si confonderà pensando di assistere a una specie di trasmissione tra refrain e sigle musicali?

Oppure riuscirà a entrare in sintonia con il Mistero, con il rito che esalta la più grande Scommessa della storia? Si avvicinerà, con timore ma con devozione alla celebrazione partecipando e sentendo che l'appuntamento non è solo una sosta obbligata nelle feste comandate?

Tuo

Massimo Biagioni

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